giovedì 29 dicembre 2011

Allah pueblo’s Outlet

                                                                                Dedicato a Samb Modou e Diop Mor




Imperturbabile  forza primigenia della Terra,
di madre Africa, nel tuo incedere lento,
madre,
che porti figli fasciati sulle spalle...
                                          in fila ai piedi di un grande centro commerciale.

Hai scelto di portare i tuoi ampi vestiti,
coloratissimi sulla tua pelle antica.
                (Forse discendi da qualche regina...).
Le tue ‘sorelle’ invece, fin dal mattino aspettano, alle…<< piattaforme ecologiche>>,
di raccogliere gli abiti dismessi da qualcuno di noi.

venerdì 25 novembre 2011

Favola

Favola


Da piccolo  
non avevo che il Fuoco che mi raccontasse favole.


Di fuori la Bufera si faceva sentire,
con i suoi frustini di grandine sui vetri,

                    e liberava cavalli di vento nella notte nera senza fine...

mercoledì 16 novembre 2011

"Che la festa cominci" , Niccolò Ammaniti



Nel suo penultimo romanzo Ammaniti, utilizzando una gigantesca, rutilante metafora (in cui si mescolano, ancor più che nei lavori precedenti, cinema, tv, cartoni, riviste, internet e centri commerciali), ha voluto far esplodere il trionfo- forzato oltre i limiti del trash o di quello che è stato chiamato pulp- di una società arrivata ormai al culmine della crisi. Forse. Perchè, come ammonisce uno dei tanti personaggi del libro: <<Il tempo delle figure di merda è finito, morto, sepolto. Se n’è andato per sempre con il vecchio millennio. Quelle che tu chiami figure di merda sono sprazzi di splendore mediatico che danno lustro al personaggio e che ti rendono più umano e simpatico>>.
Chi vuol consolarsi si consoli.
La narrazione di Che la festa cominci segue il tipico ritmo incalzante di Ammaniti, il quale recupera   quel registro comico e ‘fumettaro’ delle  origini, un’ atmosfera  che via via però diventa sempre più tragica, disgustosa, macabra.
Al centro di questo nuovo romanzo c’è una memorabile festa, che dovrà stupire proprio tutti (e vengono in mente analoghi parties, nella realtà, iperlussuosi, con tanto di esplosioni di vulcani artificiali) dove verrà radunata tutta la società italiana che conta: personaggi televisivi, chirurghi estetici, cantanti, soubrette, uomini d’affari.  Nomi e cognomi sono rigorosamente inventati.
Durante questo evento mondano si intrecceranno i destini dei tre protagonisti del romanzo: Saverio Moneta detto Mantos (leader della sparuta setta satanica Le Belve di Abbadon), lo scrittore Fabrizio Ciba e l’imprenditore venuto dal nulla Sasà Chiatti. Anche se quest’ultimo vorrà ostentare a tutti i costi il suo essersi realizzato, alla fine non sarà da meno degli altri due. Un fallito cioè. Un personaggio che, in realtà, ricorre in tutte le opere di Ammaniti, dal giovane Marco Donati protagonista del primo romanzo Branchie (un disperato, il quale sa che gli rimangono pochi mesi di vita a causa di un tumore), fino ad arrivare a  Rino Zena (Come Dio comanda), muratore precario, separato ed alcolizzato.
Sullo sfondo, anche se qui appena accennata, rimane ancora la periferia come luogo oramai fisso delle narrazioni di Ammaniti. Oriolo Romano (dove in una pizzeria si riuniscono le Belve di Abbadon )  rimanda al Comprensorio delle Isole, ad Ischiano Scalo, a Varrano.
La periferia diventa il luogo di una condizione di vita marginale, degradata.
E se gli altri romanzi di Ammaniti, per concludere, avevano un finale amaro, qui, nonostante tutto, sembra esserci una via di fuga. La risposta a questa società ormai alla deriva non arriverà dalla Letteratura, o meglio da quello che è diventata oggi anche la Letteratura, visto che lo scrittore Fabrizio Ciba (<<il terzo uomo più sexy d’Italia secondo il settimanale femminile Yes>>) dimostrerà di essere molto più cinico di tante vallette qualunque o rampanti imprenditori.
La risposta arriverà, in chiusura, dall’amore (assente nelle opere  precedenti), quello vero e semplice, che suggellerà un insolito lieto fine, al di sopra di tutto questo spaventoso panorama.

martedì 8 novembre 2011

‘Stregati’ dalla solitudine



Ci sono molte analogie che accomunano i romanzi vincitori di  due recenti e consecutivi  premi Strega(2008 e 2009): La solitudine dei numeri primi di Paolo Giordano e Stabat mater di Tiziano Scarpa.
La storia di Cecilia, ragazza abbandonata e cresciuta in un orfanotrofio, e quelle di Mattia ed Alice, matematico lui, rinchiusosi in un volontario ed auto-lesionista autismo, adolescente e ragazza ‘diversa’ lei-per via di una gamba claudicante-che cerca in tutti i modi di somigliare alle sue coetanee, sono storie  dalle quali emerge  un unico tema di fondo: la solitudine (che non a caso dà il titolo al libro di Giordano).
Una solitudine che ‘attualizzata’ diventa innanzitutto incapacità di dialogare, disadattamento (<<Poi pensò che era la cosa più naturale del mondo e che proprio per questo lui non ne era capace>>, La solitudine dei numeri primi).  Per sforzarsi di diventare bella come le compagne di scuola, ed entrare così nel loro giro, Alice finisce per diventare anoressica. Questa sua malattia le si imprime come un segno indelebile e doloroso, quanto le cicatrici profondissime che ogni volta Mattia si procura per non sentire un dolore incessante, il rimorso che lo soffoca, da quando-bambino-ha abbandonato la sorellina disabile in un parco...per poter andare da solo ad una festa di compleanno.

sabato 5 novembre 2011

Tempi antichi (racconto)

                                                      Tempi antichi
                                                              
Tutto in paese, in autunno e primavera, profumava di calce, diventava bianco, candido come  dopo una nevicata. Davano bianco su grigio finché diventava bianco su bianco. In questo modo  la gente pensava di lavarsi  anche la coscienza. Mettendo a bianco il paese imbiancava peccati e  porcherie. Anche se nelle loro coscienze sapevano che non era così…
Mauro Corona, Storia di Neve



Sulle pietre diroccate di una vecchia forgia, sul muro ormai pericolante una scritta, fatta con lo spray. Una frase quasi incomprensibile, uno scarabocchio in realtà, firmata con lo pseudonimo di un writer: Brigante ’92.
Intorno a questo vecchio edificio ci sono altre case antiche e cascanti, tutte con i muri di pietra a vista, e poi archi, scalinate, finestrelle…
Di legno quasi fradicio invece, sono le porte ad arco di tante cantine che popolano il centro storico di questo piccolo paese della Lucania.
Nel pomeriggio di fine ottobre che sopravanza, mangiandosi sempre di più il giorno, rimangono aperte le porte delle cantine, mentre deboli luci elettriche penzolanti le illuminano fino a sera inoltrata. Si sentono rumori e voci, c’è un gran daffare. Damigiane sciacquate e tini di plastica nera aspettano vicino le fontane. Nell’aria l’odore del mosto, che forma sottili rigagnoli tra le scanalature della pietra antica, scorrendo per i lastricati o lungo i gradini di vicoli e vicoletti.
Un odore che dà alla testa mentre il Sole, rosso come le foglie in questa stagione, tramonta  in anticipo in un cielo sempre più freddo.
Se lo inghiottono le valli il Sole, assieme agli ultimi gridi delle rondini.
E da ogni vallata sale, nel grande imbuto del cielo, lo sferragliare delle motozappa, dei piccoli mezzi agricoli che tornano in paese carichi di grappoli d’uva.

L’anti-Arcadia di Mauro Corona


La ricerca del silenzio, della solitudine, la fuga dal Presente, sembrano aver caratterizzato l’ispirazione di molti scrittori negli ultimi decenni.
I casi più recenti potrebbero essere quelli di Erri De Luca e Mauro Corona, che hanno deciso di praticare una sorta di ascetismo letterario e spirituale.
Il primo, ritirandosi nella campagna romana, ed occupandosi prevalentemente di studi biblici. Il secondo vivendo nel suo studio di Erto, piccolo paese di montagna (entrambi gli scrittori sono appassionati scalatori) nella provincia friulana.
Molti scrittori provenienti da questa regione- come Tomizza, Sgorlon, Pasolini- o dal vicino Veneto- come Rigoni Stern e Zanzotto- si sono caratterizzati per un vagheggiamento di un’arcaica civiltà contadina ed un conseguente recupero del dialetto, lingua incontaminata dal Progresso, lingua del mondo contadino, di una civiltà umile ed integra, piena di valori, che l’anti-civiltà industriale ha definitivamente cancellato.
A differenza di altri Mauro Corona, nei romanzi L’ombra del bastone e Storia di Neve, ha  molto originalmente sfatato il mito, o luogo comune, di una presunta superiorità morale del mondo contadino, dipingendo la società rurale friulana di un tempo (siamo precisamente nei primi anni del ‘900) in modo assolutamente non idilliaco.
Il mondo contadino descritto da Corona è quello di un misero villaggio popolato da ‘strie’ (streghe), beoni, contrabbandieri, adulteri, imbroglioni ed assassini. Una tetra maledizione sembra essersi impossessata degli abitanti di questo posto dimenticato da Dio, i quali si macchiano indelebilmente dei più cruenti ed efferati delitti o tramano agghiaccianti insidie e raggiri, mostrandosi capaci di tutto, anche di avvelenare il proprio miglior amico, pur di sottrargli la moglie.
La povertà, l’isolamento, l’ignoranza finiscono per mettere a nudo il lato peggiore di questi pastori-agricoltori-artigiani, le cui usanze ed abitudini vengono però descritte con interesse da Corona. L’uomo, con i suoi vizi ed i suoi peccati, è sempre identico a sé stesso, sia che sia un contadino del passato (anzi lo è ancora di più, vista la sua condizione di miseria) sia un borghese del presente.
Per salvare gli abitanti di Erto da questo Inferno, Dio ha deciso di mandare tra di loro una creatura speciale, una Santa: la piccola Neve, una bambina che non sente mai freddo ed è capace di salvare le persone dalla morte.
Anche questa creatura speciale cadrà vittima dell’ingordigia e della cattiveria, di suo padre addirittura, che, fiutando l’affare di avere una figlia santa, non esiterà a mettere in piedi una macchina dei finti miracoli, che gli frutterà guadagni su guadagni, cinicamente spillati alla povera gente.
In questo dannato mondo contadino sembra non esserci Redenzione…

La ‘visione’ del mondo contadino di Mauro Corona, non incline al luogo comune, ha inspirato, insieme ad altre tristissime cose -tra l’altro- il  racconto che pubblicherò dopo questo post.

martedì 1 novembre 2011

Ognissanti (poesia)

Ognissanti

In una mattina di nebbia leggera,
In una città semideserta
            (poco traffico, ma quasi tutti i negozi comunque aperti)

In un sabato mattina qualsiasi,
che sa ancora di pioggia del giorno prima
(battelli agitati dai flutti),
c’è stanchezza lungo gli asfalti della città,
ancora sonno sulle palpebre, sulle saracinesche aperte a metà
                                       (in molti sono via per il week end)

giovedì 27 ottobre 2011

Alessandro Baricco, Emmaus




Emmaus,  romanzo di Alessandro Baricco del 2009, presenta due importanti novità rispetto alla sua produzione. Una è l’autobiografismo, l’altra è che si tratta del romanzo cronologicamente più vicino ai giorni nostri. Questo secondo particolare non fa che confermare un atteggiamento di fondo di Baricco (almeno per quanto riguarda la narrativa): il rifiuto cioè di voler raccontare il Presente, la Realtà.
Le sue narrazioni infatti sono tutte volte al passato, un passato mitico ma non molto distante dai nostri tempi: gli anni delle rivoluzioni industriali o del jazz delle origini. Lo stesso vale per i luoghi descritti nei suoi romanzi, che sono quasi sempre  lontani o immaginari.
Intuiamo invece che quest’ultimo romanzo sia ambientato a Torino, città natale dello scrittore, che non viene mai nominata direttamente. Tutto è lasciato all’evocazione e all’immaginazione, come sempre in Baricco. Il <<non disse>> creato per uno dei suoi personaggi (City) è  emblematico a questo proposito, così come lo è il protagonista del celebre monologo teatrale Novecento, Danny Boodman T.D. Lemon Novecento,  geniale pianista nato e cresciuto su un transatlantico, che rifiuterà per tutta la vita di scendere sulla terraferma, nella Realtà. Metafora dello scrittore stesso.

sabato 22 ottobre 2011

La riscoperta dell’impegno civile nella letteratura italiana contemporanea



Nel 2006 Aldo Nove, riconosciuto scrittore ‘pulp’ e ‘cannibale’, imprime una netta virata alla propria produzione, pubblicando il libro Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese.
Dopo aver pubblicato romanzi, racconti e poesie, Aldo Nove passa ad un nuovo registro stilistico, quello del reportage o <<docudrama>>, come recita il retrocopertina.
Il libro si compone di dodici interviste ad altrettanti lavoratori precari, tutte introdotte da un breve commento dell’autore sullo stato della società attuale.
Viene  in mente il Pasolini di Comizi d’amore, che negli anni ’60 aveva girato l’Italia, intervistando la gente comune su sessualità ed amore.

sabato 15 ottobre 2011

notizie da Roma

16-10-2011, ore 1:20 circa: dopo aver devastato per tutta la giornata alcuni quartieri di Roma, un gruppo di black block, che si era appositamente sparpagliato nel pomeriggio, si ritrova in un parcheggio a pagamento leggermente fuori mano rispetto al Centro della capitale. Qui i 5 amici sistemano per bene gli  zainetti adeguatamente svuotati di ogni oggetto sospetto, nel cofano dell’Audi di uno di loro, A., studente fuori corso di Scienze Politiche (la macchina in realtà è della compagna del padre, primario di un noto ospedale milanese) ed imboccano l’autostrada A1 diretti al capoluogo lombardo.
Lungo il viaggio iniziano a confrontare  i rispettivi video realizzati su iphone, ingaggiando una improvvisata gara a chi abbia aggredito più poliziotti. Qualcuno di loro ha già caricato i video su youtube. C., matricola di Economia, mostra con vanto un grosso livido sulla coscia, causato da una manganellata.
Si fermeranno a mangiare ad un autogrill, dopo Bologna. Poi dritti fino a casa. Domani è Domenica, ognuno di loro avrà qualcosa di diverso da fare.
Si contatteranno, come sempre, su FaceBook, dove hanno costituito il loro gruppo d’assalto: Anarchici Destrutturanti.

mercoledì 5 ottobre 2011

Francesco (poesia)

Pubblico una poesia che avrei dovuto postare ieri, giorno di San Francesco.




 Francesco

Sconcertante Potere rivoluzionario,
capace di minare, fin nel profondo,
le fondamenta stesse di ciò che noi chiamiamo ‘vivere’.

In principio fu il Peccato Originale.

Irreversibile.
        (L’umanità forgiata nel Male)

Ma vennero poi distillate dall’Alto
rare gocce:
un insopprimibile amore,
una tensione vertiginosa, nacque,
verso la nuda, impalpabile Essenza.

Di lì non si torna più indietro.


Francesco,
una piccola fiammella nel cuore,
sempre viva,
inestinguibile.
Con una luce sì flebile ma di assoluta purezza,
hai affrontato notti nebbiose, lunghi inverni.
Grandine sul volto e,
sotto i piedi, gelo
(che è il fuoco, la lancia,
le pietre e le ingiurie
dei martiri).


Lungo sentieri di dolci colline
tu cammini,

vestito di foglie d’autunno...
                       
                                         ...e sposi l’Universo.
Ti rincuorano poche frasi,
sussurrate da un crocifisso,
ma un’incessante sinfonia cosmica
accompagna, per sempre, i tuoi passi,
le tue preghiere.


Hai un rosario fatto di gusci di noce.


Ma un guscio di noce,
in un Oceano in tempesta,
non potrà mai e poi mai affondare...

Francesco.



 

lunedì 3 ottobre 2011

Racconti per le scuole

Accanto ai Racconti lucani mi piacerebbe pubblicare delle favole che ho scritto per le scuole, suddivise per ordine di età: dalla scuola dell'infanzia e primaria, alle 'medie' fino alle superiori.

Ritorno in Lucania



Tornare a vivere stabilmente nella mia terra d’origine mi ha fatto venire alla mente la figura ed i versi di Leonardo Sinisgalli:

Io tornerò vivo sotto le tue piogge rosse.
tornerò senza colpe a battere il tamburo,
a legare il mulo alla porta,
a raccogliere lumache negli orti.

E’ la poesia Lucania, di cui vorrei riportare la parte iniziale:
                    
                                 Lucania
Al pellegrino che s’affaccia ai suoi valichi,
a chi scende per la stretta degli Alburni
o fa il cammino delle pecore lungo le coste della Serra,
al nibbio che rompe il filo dell’orizzonte
con un rettile negli artigli, all’emigrante, al soldato,
a chi torna dai santuari o dall’esilio,  a chi dorme
negli ovili, al pastore, al mezzadro, al mercante
la Lucania apre le sue lande,
le sue valli dove i fiumi scorrono lenti
come fiumi di polvere.

domenica 2 ottobre 2011

L'asino d'oro. (Racconto)

L’asino d’oro

...figuras fortunasque hominum in alias imagines conversas
et in se rursum mutuo nexu refectas ut mireris.

...e non ti stupiscano forme e fortune umane trasformate in altri aspetti che poi,
 in un rovesciamento di situazioni, ritornano ad essere quelle di prima
(Apuleio, L’asino d’oro)

Rosina   era un esemplare femmina di asino, robusto ma piuttosto avanti negli anni, il che si poteva arguire solo osservandola da vicino però. A tradire l’età infatti era il colore del pelo, una tonalità che non si poteva ascrivere a quel  rosso vivo, struggente, che colpisce l’occhio, come quello dei pampini nelle filare di viti verso ottobre inoltrato. Piuttosto si trattava di un rosso smorto, ruggine, ma che nemmeno avresti potuto paragonare a quello delle pennerrame o di stoviglie e pentolame vario. La terra dura e ferrosa delle Rocce forse, o quella che sbuca qua e là dai canneti di Iannizzi, potevano valere come riferimento.
Un colore comunque non uniforme, che si ingialliva talvolta od imbiancava tal altra, rivelando appieno finalmente, dopo un’analisi più approfondita, l’età ormai tarda dell’asino.
Che comunque continuava a fare bene il suo dovere, eh!: si caricava addosso infatti bisacce e padrone la mattina presto, e senza fare tante storie, si incamminava fino alle terre che si trovavano lontano, dall'altro lato della vallata.
Rosina era ancora un asino forte ed affidabile.
Ma soprattutto era l’ultimo asino del paese. L’unico ormai rimasto in circolazione.

Racconti lucani

Pubblico qui un mio racconto, cui seguiranno altri, che inserirò in una raccolta denominata Racconti lucani.
Attraverso di essi ho voluto esprimere una mia idea di Lucania, metterne in luce, spesso in modo ironico o paradossale, alcuni aspetti.

Ogni riferimento a persone o fatti è puramente casuale.

il blog

Non intendo dedicare esclusivamente questo blog alla Lucania, né farne un facile elogio, che indulga magari a stereotipate descrizioni folkloristiche, facili annotazioni da guida turistica. Niente del genere. Si tratta invece di un semplice taccuino, che raccoglie le mie riflessioni sotto diverse forme: articoli, appunti, racconti, poesie…
Molte delle mie riflessioni, è vero, riguarderanno la terra di Lucania: quello che è stato, ciò che non è più, quello che potrebbe essere adesso. Ma nello scrivere i miei appunti mi riserbo libertà totale, al di là di ogni cornice o filo conduttore.
Anarchico vuole essere questo blog, sfilacciato, dislocato, costellato di tante piccole realtà, come i nostri paesi lucani.
Di riflesso, in tutto ciò che pubblico, si potrà cogliere ciò che rappresenta per me la Lucania: isolamento, lentezza, individualismo, una ‘zona spirituale’ dove il mondo si attutisce, permettendo alla gente di esprimere ancora una propria individualità o condannarsi all’indistinto più assoluto.
Perché il nome Nazione Lucana? Orgoglio campanilistico o roba del genere? Assolutamente no. Il blog riecheggia il titolo del più famoso Nazione Indiana, la letterarietà e lo spirito critico ed indipendente, come elementi di fondo. Istituzionalmente anche la nazione lucana, come quella indiana non esiste. E’ un modo di essere, uno spazio che lascia molto più luogo all’immaginazione ed alla riflessione. E di questi tempi c’è n’è tanto bisogno…

lunedì 26 settembre 2011

Benvenuti

Mi chiamo Mario Masotti

Sono un figlio della Lucania.
Come tanti ho trascorso alcuni anni della mia vita fuori dalla mia regione, per lavoro.
Poi ho deciso di tornare.

Adesso vivo in un piccolo casolare di campagna, su un'imprecisata montagna della Basilicata.

Da qui osservo il mondo, tutto ciò che mi circonda.

Le mie impressioni, le mie riflessioni ho deciso di annotarle in questo blog...