sabato 22 ottobre 2011

La riscoperta dell’impegno civile nella letteratura italiana contemporanea



Nel 2006 Aldo Nove, riconosciuto scrittore ‘pulp’ e ‘cannibale’, imprime una netta virata alla propria produzione, pubblicando il libro Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese.
Dopo aver pubblicato romanzi, racconti e poesie, Aldo Nove passa ad un nuovo registro stilistico, quello del reportage o <<docudrama>>, come recita il retrocopertina.
Il libro si compone di dodici interviste ad altrettanti lavoratori precari, tutte introdotte da un breve commento dell’autore sullo stato della società attuale.
Viene  in mente il Pasolini di Comizi d’amore, che negli anni ’60 aveva girato l’Italia, intervistando la gente comune su sessualità ed amore.
Il tema del precariato e della proliferazione di lavori atipici diventa centrale anche negli esordi di un altro giovane scrittore, Andrea Bajani, con il romanzo Cordiali saluti (2005) seguito poi dal reportage Mi spezzo ma non mi impiego (2006), presentato ironicamente come una <<guida di viaggio per lavoratori flessibili>>.
Il nome di Bajani è inoltre legato  ad un importante antologia Scrivere sul fronte  occidentale, di cui parleremo tra pochissimo.
Conclude questa nostra breve carrellata il grande successo di Gomorra (2006), di Roberto Saviano, opera di denuncia aperta su cui non c’è bisogno di spendere tante parole.
Interessante è la definizione di ‘no-fiction’ che è stata data di questo romanzo. Definizione che ci rimanda alla riflessione di fondo di un convegno tenutosi a Milano il 24 novembre 2001, a cui è seguito il libro appena citato Scrivere sul fronte  occidentale (curato da Antonio Moresco e Dario Voltolini, con interventi di A. Bajani, T. Scarpa, P. Nori ed altri). Libro da cui sembra essere partito tutto.
Gli scrittori e gli artisti che parteciparono a quel convegno, infatti,  si chiesero -a ridosso dell’attentato alle Torri Gemelle, dove realtà e fiction si sono pericolosamente sovrapposte- quanto e se avesse senso ancora, per lo scrittore, perseguire la finzione letteraria. Scrive Tiziano Scarpa che, dopo l’11 settembre <<il velo di Maya della finzione si è rotto, la finzione è collassata>>. Da questo ‘comune sentire’ nascerebbe allora un bisogno  di raccontare, denunciare la realtà in presa diretta, attraverso le forme dell’inchiesta, dell’intervista, del pamphlet (e assieme a Pasolini non si può fare a meno allora di ricordare Sciascia).
Un clima culturale che spiega a mio giudizio anche il grande successo ottenuto negli ultimissimi anni da certo giornalismo ‘di denuncia’, a partire da La casta (2007), seguito da altri libri come La paga dei padroni o Vaticano S.p.a. Gli ultimi due libri sono stati pubblicati dalla casa editrice Chiare Lettere, nata appositamente nel 2007 con <<l’intento di creare uno spazio di informazione ed approfondimento libero, distante dall’influenza dei partiti, associazioni, gruppi economici e religiosi>>.
Un giornalismo, letterario, che ha il suo rappresentante in Marco Travaglio, il quale orchestra le sue denunce anche sotto forma teatrale.  E Marco Travaglio, per concludere, richiama il nome di Beppe Grillo e di quella denuncia urlata, collettiva e senza veli, che ha avuto il suo veicolo di diffusione nel ‘blog’, un nuovo modo di esprimersi,  che potrebbe diventare, a pieno titolo, anche un nuovo genere  letterario. Che  molti scrittori o giornalisti, oggi, non disdegnano di utilizzare (si veda ad esempio www.nazioneindiana.com).


Mario Masotti

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