Il principe Burian, nobile vento, signore delle sterminate steppe siberiane, quell’inverno era arrivato più potente del solito sull’Appennino dell’Italia meridionale.
Una bufera improvvisa di neve, che non aveva nessuna intenzione di smettere da giorni, ormai, aveva invaso non solo le montagne ma anche le coste, fino ai paludosi lidi ionici ed alle estreme e selvagge sponde del Salento, imbiancando cespugli di capperi e di fichi d’india. Tutto era ricoperto dalla neve siberiana, il soffio gelido di Burian si era spinto fin sulle coste nordafricane. La catena dell’Atlante era interamente ricoperta di neve.
Un sibilo continuo attraversava ora i vicoli pietrosi, gli archi e le scalinate di un piccolo paese lucano. Dalle minute finestre del centro storico pendevano ghiaccioli e di grossi ed opachi ghiaccioli erano fatte le punte delle lance, le armi dei soldati di Burian. Le avanguardie erano precedute dagli spiriti di enormi lupi con il muso protéso. Il loro sguardo si perdeva compiaciuto tra i multiformi tratturi e nelle silenziose vallate il loro ululato si confondeva con i sibili della tormenta.