Scrive Carlo Levi che, per il disincantato contadino lucano, esiste solo <<l’oggi>>, mentre il
domani non è nient’altro che un vago ed immobile <<crai>>.
Crai è domani, e sempre; ma il giorno dopo domani è pescrai e
il giorno dopo ancora è pescrille; poi viene pescruflo, e poi maruflo e
maruflone; ed il settimo giorno è maruflicchio. Ma questa esattezza di termini
ha più che altro un valore di ironia. Queste parole non si usano tanto per
indicare questo o quel giorno, ma piuttosto tutte insieme come un elenco, e il
loro stesso suono è grottesco: sono come una riprova della inutilità di voler
distinguere nelle eterne nebbie del crai. (Cristo
si è fermato ad Eboli)
La durezza dell’oggi, cui segue sempre un domani vuoto di
promesse, sono anche il senso di questa poesia di Giulio Stolfi,
significativamente intitolata Domani:
Ora il gelo nasconde ai miei passi
Il solco crudo dei carri
E qualche stella s’impietra
Lungo le prode. Domani
La strada offrirà
Il pallido volto di mota
Agli occhi arrossati. Domani
Si leveranno parole
Delle bocche di rame
Agli alberi magri,
ai gatti randagi,
agli usci serrati.
Disincanto, amarezza e rassegnazione emergono dai versi di Giallo di argilla e ginestre, raccolta
poetica pubblicata nel 1954 da Giulio Stolfi (Potenza 1917-2005). Giurista,
nonché poeta (è stato infatti magistrato, presidente di T.A.R., consigliere e
poi presidente di Sezione del Consiglio di Stato), Giulio Stolfi viene
considerato dalla critica una delle voci più significative del Neorealismo
lucano.
Rispetto a poeti come Parrella o Scarano, egli appare più
contemplativo ed elegiaco. Nelle liriche della sua prima raccolta, protagonista
- prima di tutto - è il paesaggio: silenzioso, arido, infruttuoso (<<è
amara l’acqua dei nostri fiumi…>> esordisce la lirica Lucania). Il tenace contadino lucano non
si arrende però all’ostilità di questa terra, anzi vi si attacca ancora di più,
piantando l’ulivo nell’argilla o abbarbicando la vite alla roccia.
La desolazione del paesaggio diventa desolazione dell’anima,
che si tramanda di generazione in generazione: <<Figlio, t’ho messo nel
sangue\il brivido giallo dell’acqua;\perdona se t’ho serbato\quest’orizzonte d’argilla>>
(Santuario). Appare
tuttavia tracciato nel libro un personale percorso di salvezza, riposto
nell’attaccamento alla vita e nella fede
condivisa con la gente umile di Lucania, come di qualsiasi altro luogo del
mondo:
Non dico il tuo volto, Signore,
ma t’ho incontrato a sera nei cantieri,
quando acuti lamenti di sirene fermano la stanchezza ai
muratori.
T’ho visto per le strade,
allora che attendono
le donne innanzi agli usci e poco pane
è sulla mensa.
Di Giulio Stolfi (cui nel 1999 fu assegnato, dalla giuria del
Premio Letterario Basilicata, il premio speciale "Una vita per la cultura
lucana") ricordiamo anche la raccolta di poesie Provincia del reame, del 1959, in cui viene trattato il delicato
tema dell’emigrazione ed il romanzo storico per le scuole Bandiera sul campanile (1973).
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