martedì 16 luglio 2013

L’insostenibile leggerezza della letteratura. Italo Calvino

Dal suo romanzo d’esordio fino alle Lezioni americane, pubblicate postume, la figura di Italo Calvino si caratterizza per un atteggiamento costante di fondo: la Leggerezza. Che non deve essere confusa con superficialità, quanto interpretata come equilibrio, misura, ironia. Una leggerezza che corrisponde al piacere di narrare, di immaginare, di evocare. Una leggerezza che sembra non appartenere alla Letteratura italiana dei decenni che vanno dal dopoguerra agli anni ’80. L’epiteto ‘anni di piombo’ può  benissimo riassumere la pesantezza sociale, politica ed anche letteraria, soprattutto dei decenni ’60 e ’70,  per i quali potremmo parlare di un ispessimento generale della Letteratura, di uno sperimentalismo molte volte complicato e di difficile lettura, che sembra coinvolgere tutti gli scrittori, compreso lo stesso Calvino.
Il quale parte però da un approccio diverso nei confronti del mezzo letterario e delle sue possibili sperimentazioni: da quel piacere di narrare, che lo porta ad indagare i meccanismi del racconto, a smontare ed esaminare la Letteratura come farebbe un bambino curioso con un giocattolo, con un congegno affascinante e complicato.
Tra gli anni ‘60 e ‘70 Calvino inventa così le sue macchine narrative, i suoi dispositivi che moltiplicano all’infinito le narrazioni: Le Cosmicomiche, Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili e Se una notte d’inverno un viaggiatore.
Quest’ultimo è il romanzo o metaromanzo dove Calvino più esplicitamente si interroga sulla Letteratura, studiandone le Leggi fondamentali di funzionamento.
Interrogarsi sulla Letteratura presuppone una messa in discussione della stessa, del suo ruolo, così come della figura e della funzione dello scrittore. Interrogativi che sentono e si pongono, più o meno esplicitamente, tutti gli scrittori dei decenni ‘60 e ‘70, dinanzi all’esplosione improvvisa della Cultura di massa, quando, ad esempio, l’istantaneità e la fruibilità di linguaggi, come quello del cinema o della tv,  mettono da parte l’impegnativa profondità di un libro, o quando l’omogeneità e semplicità dei messaggi sono preferite alla problematicità, cosi come ad esempio quando il prodotto, finito e serializzato, che sia narrativo (il best-seller) o cinematografico, mettono in ombra il pensiero e la singolarità dell’autore.
Non si può studiare, a nostro avviso, la letteratura contemporanea, senza un approccio critico di tipo sociologico.
Calvino, dinanzi a questa nascente Cultura, non esprime un rifiuto netto, snobistico o polemico, come molti dei suoi colleghi. La ‘misura’ rimane il suo tratto distintivo, l’equilibrio la sua peculiarità.
Calvino scriverà testi di canzoni (quelle che Manganelli esacerba duramente), realizzerà sceneggiature per il Cinema, genere di consumo per eccellenza- furiosamente stravolto da Pasolini o Carmelo Bene- e  sarà infine attratto dal connubio letteratura-fumetto (il progetto de Il motel dei destini incrociati[1]) . Ma dietro le righe si possono cogliere i timori di Calvino per gli eccessi tipici della società di massa, come il pericolo per una deriva tecnocratica e plutocratica, espresso in Se una notte d’inverno un  viaggiatore, o gli accenni all’inquinamento ed alla crescita senza criteri delle moderne megalopoli (ne Le città invisibili).
Alla mercificazione ed omologazione socio-culturali Calvino oppone quello che potremmo definire un suo ‘umanesimo’ di fondo, che consiste nella fiducia nella ragione umana e nel ruolo conoscitivo della letteratura.
Ecco allora la sostanziale profonda vicinanza con Gadda, con cui Calvino condivide una comune visione del mondo ed un ruolo comune dello scrittore. Indagare la realtà, non lasciarsi sommergere dal mare dell’oggettività, abbracciarla nella sua interezza, senza frammentarietà, contingenze storiche ideologie e mode letterarie, aver fiducia nel ruolo euristico e comunicativo della scrittura. Calvino a differenza di Gadda persegue questa conoscenza in modo indiretto, simbolico, mitopoietico e non con quella ossessione enciclopedica dello scrittore milanese e di molti romanzieri contemporanei. Entrambi però rimangono due scrittori universali, nell’obiettivo di cogliere la realtà nella sua integrità.
Calvino punta ad una conoscenza ‘letteraria’ del mondo, non filosofica, non definitiva. Non punta a costruire un sistema teoretico generale. Le ideologie sono ormai alle spalle.
Calvino, mantenendo un atteggiamento di misurato ironico distacco, ci gira intorno alla realtà, rappresentandola metaforicamente attraverso immagini e racconti che si moltiplicano all’infinito, perchè infinita ed inesauribile è la realtà.
Nascono così, come abbiamo già detto, i suoi congegni narrativi, le Cosmicomiche, dove teorie ed ipotesi scientifiche scatenano la delicata favolistica immaginazione dello scrittore, o il Castello dei destini incrociati, dove Calvino si cimenta in un rigorosissimo esercizio combinatorio.
Razionalismo e geometrismo sono una componente fondamentale di questo scrittore. Un geometrismo, quello di Calvino, simmetrico e semplificatore ma anche complicatissimo ed analitico (come nelle rigorose costruzioni di Castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un  viaggiatore).
Una struttura, uno schema, un intreccio, un tema o un motivo sono la base su cui si sviluppano le città\descrizioni in le Città invisibili. Se non vi è questo sostrato razionale e geometrico alla base, se non vi è una trama (nella doppia accezione letteraria ed urbanistica), seppur insolita o complicata, non potranno allora esistere città\descrizioni e si cade necessariamente nell’informe, nel caos, nella proliferazione rizomatica, reale e narrativa.
Una situazione che Calvino denuncerà nelle sue Lezioni americane:

Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza...
La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio nè fine. Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura.

Le città per Calvino altro non sono che proiezioni dei rispettivi fondatori, costruzioni sviluppate e dipanate su di un motivo, semplice o complicato che sia. La città diventa metafora del racconto e della razionalità.
Scrivere equivale a costruire allora, scrivere è dare una forma, un impianto alla caotica massa della realtà. Ricordiamo a questo proposito tutta la lezione americana dedicata all’Esattezza
Esattezza e Molteplicità da un lato, Leggerezza e Rapidità dall’altro.
Ecco la fiducia riposta nel ruolo conoscitivo della letteratura attraverso il piacere della lettura\scrittura, dell’affabulazione, dell’intreccio e dell’immaginazione, ma senza la pretesa filosofica o scientifica di possedere definitivamente la Verità. La Verità va inseguita all’infinito attraverso una scrittura limpida, comprensibile. La verità non verrà mai raggiunta completamente.

Descrivere vuol dire tentare delle approssimazioni che ci portano sempre un pò più vicino a quello che vogliamo dire, e nello stesso tempo ci lasciano sempre un pò insoddisfatti, per cui dobbiamo continuamente rimetterci ad osservare e a cercare come esprimere meglio quel che abbiamo osservato

Così si esprime Calvino nelle pagine  di un Antologia per le scuole medie curata insieme a G. Salinari[2].
Nel capitolo finale di Se una notte d’inverno un viaggiatore invece,  troviamo sette diversi lettori con sette diversi approcci alla letteratura\realtà. Vengono così toccate tematiche come la soggettività dell’interpretazione, la lettura come evento unico ed irripetibile, l’intertestualità (ogni libro ne richiama altri, all’infinito), la presenza in un testo di significati nascosti e plurimi, come gli svolgimenti prefigurati in un incipit o il senso ultimo, nascosto dietro ogni finale. I dieci romanzi racchiusi in Se una notte... sono dieci diversi modi di approcciarsi al mondo, di guardare alla realtà.
Anche per Calvino, come per Guglielmi e molti intellettuali dei decenni ‘60 e ’70, le ideologie sono ormai tramontate e con esse le visioni totalizzanti della realtà. Calvino proclama allora un proprio relativismo conoscitivo  che però non è una resa dello scrittore (come in Guglielmi o Manganelli) dinanzi al polimorfismo della realtà, cui corrisponde uno schizomorfismo della scrittura. Calvino, al contrario, sottolinea l’importanza vitale di approcciarsi sempre con curiosità e passione alla realtà e di applicarvi uno schema, una struttura, un impianto interpretativo. Il mondo altrimenti ci sfuggirebbe di mano, come le metropoli contemporanee che crescono irrazionalmente ed in modo a-geometrico o come tutto il <<mare dell’oggettività>>.
La fiducia nel ruolo conoscitivo della letteratura si accompagna sempre al fascino per il racconto, per il romanzesco: conoscenza e racconto, indagine e favola sono inseparabili per Calvino.
L’importanza della descrizione, l’importanza del ruolo conoscitivo della letteratura si può riscontrare anche nell’ultima opera narrativa di Calvino, Palomar, dove il protagonista non a caso prende il nome da un famoso Osservatorio astronomico americano.
Si respira, in questo libro, una certa stanchezza, un leggero senso d’inquietudine, fin dalle primissime pagine, dove l’anziano signor Palomar (una sorta di Marcovaldo invecchiato) viene rappresentato come un Don Chisciotte della conoscenza, nell’improbabile obiettivo di voler descrivere… un’onda del mare. Palomar è di fronte al mare, metafora della realtà informe, sfuggente, immensa. Metafora dell’Inconoscibile. Le sue domande, le sue congetture non troveranno risposta, e così sarà in tutti i brevi capitoli del libro, dove il protagonista continua ad interrogarsi di fronte ad ogni più minimo e banale aspetto dell’esistenza.

il mondo intorno a lui si muove in modo disarmonico ed egli spera sempre di scoprirvi un disegno, una costante.

Il mondo pone una serie di <<perchè?>> cui il signor Palomar tenta di dare una risposta, ai quali applica modelli, verifica teorie. Ma ogni domanda ne rimanda ad un’altra, all’infinito.
Il fatto è che lui più che affermare una sua verità vorrebbe fare delle domande

Dinanzi alla complessità del mondo, Palomar rimane mite e sereno, pur se non riesce a trovare nessuna risposta. Niente nevrosi o <<angoscia titillante>>. E nemmeno disprezzo o superiorità, per gli aspetti più quotidiani e banali della vita.
Quest’opera può essere letta allora come una grande metafora della letteratura e della conoscenza secondo Calvino.
In  un libro dove si stemperano le ricerche metaletterarie dell’autore e la pagina si spoglia di ogni costruzione narrativa, per arrivare ad una sorta di ‘grado zero’ della letteratura, l’osservatore Palomar rappresenta lo scrittore stesso (un ritratto dell’artista da vecchio), mentre il suo continuo osservare e porsi delle domande (senza risposta) altro non rappresentano che l’essenza stessa della letteratura.
Il continuo interrogarsi, la mancanza di risposte, non inquietano ma affascinano l’uomo e lo scrittore. Questo è il valore sano, positivo e lungimirante della letteratura secondo Italo Calvino.



Influenze di Calvino:
in linea generale in tutto il ritorno al romanzo degli anni ’80;
De Carlo;
Del Giudice;
Benni   travestimento della lett. forma fiabesca della letteratura, infanzia protagonista
Baricco il piacere di raccontare



[1] Il Castello dei destini incrociati, Presentazione.
[2] La lettura. Antologia per la scuola media, a cura di I.Calvino e G.Salinari, Zanichelli, Bologna 1969.

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