domenica 14 luglio 2013

Il racconto nel cassetto



A   J. L. Borges

La morte di X aveva sconvolto tutti ad Ameno. Adesso nella chiesa del piccolo paese lucano, amici, parenti, conoscenti, gente comune, tanti erano venuti a rendere l’ultimo saluto al giovane defunto. Se ne stavano tutti con i volti pallidi, confusi, come presi terribilmente alla sprovvista.
Ed alla sprovvista era stato colto il povero X, dalla morte.
Non era stata una morte tragica o violenta la sua. E soprattutto non una morte ordinaria, della quale si muoia ogni giorno. La sua era stata una morte strana, grottesca: la gelida pellegrina,si sa, ha infiniti volti.
Aveva fatto visita ad X nel momento più impensabile, a pranzo.
Il pranzo, infatti, è un momento di ricarica vitale e psicologica, è attingimento di energia. E’ vita insomma. Durante questo momento sacro, questo rito biologico, si ha assoluto bisogno di tranquillità. I seccatori non sono per niente ammessi.
Ma la Morte non ama bussare. Ella è tiranna, barbara, sciacalla e, senza indugi, senza bussare, spalancò la porta e piombò addosso al povero X, portandoselo via come  fa un falco con un topo indifeso.
Se ne stava nascosta in silenzio, la Morte, nel cibo, nel pane quotidiano, che per X doveva essere fonte di vita.
Si era soffocato, in poche parole, X, con un boccone di traverso.


<<Che morte assurda>> pensava Tommaso, uno dei pochi amici di X, anche se ‘amici’ nel vero senso della parola X non ne aveva affatto. I suoi erano più che altro conoscenti stretti, compagni. Amico infatti vuol dire confidente, ed X non aveva (non voleva) proprio nulla da confidare a nessuno. Nessun segreto, nessuna gioia, nessuna speranza. Se ne stava sempre taciturno, inerte, svogliato.
<<Tutto così terribilmente piatto, banale, in quel ragazzo, dalla nascita... fino alla stessa morte>> era il freddo giudizio di Matteo, dall’alto della sua posizione di studente di Ingegneria. Se lo teneva per sè, però, quel giudizio. Non avrebbe osato riferirlo al suo amico C., fratello maggiore di X.
Si, tutti adesso, in quella chiesa dalle pareti stuccate (dove faceva un freddo cane) tutti pensavano che quella fosse stata una morte stupida. Ma proprio in quella banalità consisteva tutta la grottesca tragicità che riempiva l’atmosfera della chiesa.
Tutto il paese era presente. Moltissimi non conoscevano X se non di faccia, o non lo conoscevano proprio, sapevano che era figlio del tale o del tal’altro. Ma il rispetto per la famiglia del ragazzo, o forse solo per la situazione, la tradizione, l’educazione imponevano a tutti una certa gravità.
C’erano anche molte ragazze del paese, sia quelle pie e devote, che quelle più ‘eretiche’. Le giovani fedeli occupavano i primi banchi e pregavano e cantavano, mostrando un’aria di familiarità e di esperienza, verso quegli uffici, mista a dolore. La loro espressione era stranamente identica per tutte, ed aveva molta affinità anche con quella delle suore, sedute dietro di loro.
Molte ragazze piangevano però. Erano le uniche a farlo, insieme alla famiglia di X. Poverine! Che pena faceva vederle piangere, soffrire, affliggersi, per quel tragico avvenimento. Già, proprio così, per quel tragico avvenimento e non per quello sfortunato ragazzo.
A colpirle violentemente, infatti, era stata la morte in sè, non quella di X.
L’avevano sempre sentita come un qualcosa di estraneo e lontano, la morte. Qualcosa di appartenente alla vecchiaia, alla malattia, o qualcosa di relegato nella Televisione, che ne filtrava le realistiche impurità.
Questa volta però, la morte si era presentata loro nella sua interezza ed aveva improvvisamente mostrato il suo vero volto. Scaraventandole in un mondo nuovo.
La morte di un amico, di un coetaneo, le aveva sbalzate fuori dai loro sogni ovattati. Aveva aperto loro le porte sulla vita, la vera vita, in tutta la sua cruda realtà.
Sembravano naufraghe, forestiere, in quella nuova dimensione.
E avrebbero pianto molto di più se ci fosse stato un organo in quella chiesa, un vero organo, e non uno scassato harmonium sfiatante...

Mirko, appoggiato alle travi che servivano da puntello per la pericolante chiesa, sembrava il più contristato di tutti.
Aveva fama di passare per il delinquente del paese. Ma non era certo l’impressione che dava, a vederlo così, raccolto, turbato, angosciato. Stava pensando a quando, anni fa, una sera, ubriaco, aveva picchiato X nel bar, per motivi che ora gli sembravano futili. Gli era piombato dietro a sorpresa sbattendogli la testa sul videogame. X era rimasto paralizzato, sorpreso, prendendosi una serie di schiaffi e non capendo perchè. Non riusciva a reagire. Poi era intervenuto il barista ed altra gente adulta.
Adesso però si stava prendendo la sua vendetta. Il suo ricordo continuava a sbattere, ora, la testa di Mirko contro il muro del rimorso.

C’era anche la II liceo classico di Potenza, i compagni di classe di X. Erano quasi tutti della città: Gianluigi, Walter, Stella, Fabrizio, Noemi.
Si erano sistemati con i prof in fondo alla navata, tra la gente del paese e dei sacchi di cemento impolverati (la chiesa era in restauro).
<<Povero Paci>> piangeva la professoressa di Latino, un’attempata ed elegante signora, che preservava ancora la sua bellezza. Non riusciva ancora a ricordarne il nome.
La professoressa di Italiano, invece, si era seduta avanti, accanto al padre di X. Continuava a parlare-sottovoce- da circa 20 minuti. Parlava di X al padre, impiegato statale, come se questi non  conoscesse affatto il proprio figlio.
<<Era un ragazzo chiuso, che non affrontava mai il dialogo, la discussione, rifugiandosi nella sua timidezza. Certo posso capire la differenza di partenza rispetto ai suoi compagni, l’essere l’unico ragazzo di paese in mezzo a tanti cittadini. Ma bisogna pure sapersi adeguare, non le pare?>>
<<Certo>> era l’unica risposta del signor Paci, assente ed in lacrime.
<<In genere i ragazzi così chiusi ed introversi nascondono una straordinaria personalità, dei talenti. Ed allora ho tentato di farla emergere, di cercarla nei temi in classe. Ma mi hanno risposto negativamente. Elaborati esili, superficiali, banali, corretti nella forma, ma assolutamente scialbi nel contenuto. Ho cercato allora di dare tracce sempre più personali, coinvolgenti, ma il risultato era sempre lo stesso: ‘elettroencefalogramma piatto’>>. <<Insieme alle colleghe allora, abbiamo tratto la conclusione che suo figlio era troppo pigro e sterile. Ma, mi dica, non aveva proprio nessuna passione questo benedetto ragazzo?>>
<<E che ne so io -rispose il padre di X- so solo che se ne stava sempre rinchiuso a leggere, a studiare e a scrivere...>>.
<<A studiare? A scrivere??>> domandò allibita la prof.
Il rispetto per il dolore del padre e per la situazione però, la trattennero da ulteriori domande.
Restò in silenzio per tutta la durata della cerimonia, riflettendo su quelle parole.
La sera, finalmente, quando tutto si era concluso, lei andò a casa di X, per dare un ultimo conforto ai genitori. Erano tutti nel salone, amici e parenti, in un profondo silenzio. Ogni parola, ogni ricordo del ragazzo era come bloccato da un misterioso senso di assurdità. Si cercava di esorcizzare il dolore, o meglio lo stupore, cercando di parlare di altro. La prof che non tollerava i discorsi banali che si stavano facendo e, spinta dalla curiosità di prima, che non le era affatto passata, non seppe trattenersi più e proruppe:
<<Sarebbe così gentile da mostrarmi la camera di suo figlio?>> rivolta al padre di X.
L’impiegato guardò smarrito e perplesso gli occhi della moglie, ne ricevette un cenno affermativo.
L’uomo allora la accompagnò, salendo una scala che portava alle camere dei suoi figli.
Entrarono nella stanzetta di X.
Un letto, una scrivania e sopra una finestra alta e stretta. Niente di più. Nemmeno un poster. <<Come volevasi dimostrare>> pensò la prof. Una libreria con i libri di scuola, dizionari ma anche altri libri di lettura, non scolastici. <<Però>>. Ne percorse i titoli con lo sguardo, interessata.
In basso c’erano degli scatoloni, che la prof volle aprire, chiedendo con lo sguardo il permesso al padre.
Lì dentro i libri erano molto di più. Edizioni varie, opere complete, saggi filosofici, romanzi, poesie, libri d’arte. Un’ottima libreria personale. Parecchi di questi libri poi avevano annotazioni all’interno o a margine. La prof le lesse concentratissima. Non credeva ai suoi occhi.
Guardò allora per un attimo il grande cassetto della scrivania, che non era chiuso perfettamente. Le venne improvvisamente voglia di guardarci dentro, sempre dopo aver tacitamente richiesto il permesso al signor Paci, che la guardava senza capire.
Lo aprì. Il cassetto era colmo di fogli, quaderni, agende, sparsi disordinatamente.
Prese il primo foglio che le capitò e cominciò a leggerlo. Lo posò in fretta. Ne prese subito degli altri. Li leggeva con sempre maggiore attenzione e rapidità, chinandovisi sopra. Si sedette ed aprì un’agenda e poi un’altra ancora. Sfogliò tutti i quaderni.
Ed a un certo punto svuotò sulla scrivania il contenuto dell’intero cassetto:
poesie, versi sparsi, pensieri, appunti, racconti, dialoghi, un abbozzo di romanzo, progetti teatrali, una commedia incompiuta...





Questo racconto, intitolato “Sorpresa”, lo trovai –strano destino- proprio nel cassetto del mio amico Y, morto in un bruttissimo incidente automobilistico. <<Posso farti leggere qualcosa?>> mi diceva sempre, ma era timido non mi aveva mai dato nulla. E’ l’unico completo tra tutte le sue bozze.
Penso che lo farò pubblicare, glielo devo e ne sarà contento, sicuramente.





Finito questo racconto, dopo qualche giorno Z chiese  al suo collega universitario Pietro:
<<Allora, lo hai letto?>
Era la prima cosa che faceva leggere a qualcuno. Era ansioso. Secondo lui Pietro avrebbe avuto da ridire sul finale, ma proprio ciò lo incuriosiva.
<<Ah si...>> rispose Pietro, pensando ad altro.
<<Come ti sembra?>>
<<Mah...è molto triste, lugubre. Mi sono grattato... tutto questo parlare della morte>>.




La morte. Si fece conoscere una mattina, a scuola, quando avevo marinato. Il giorno dopo mi presentai con la mia giustifica falsificata ma non c’era assolutamente nessuno. Deserto. Era tutto irreale. Le porte erano aperte però, anche la Presidenza. Il preside mi accolse mesto:<<figliuolo oggi non c’è scuola, non hai saputo quello che è successo?>> Vicino all’ingresso vidi tre manifesti funerari.
Riflettei a lungo in quei giorni sulla morte.


Ma ora scusatemi, sta passando mia madre con l’aspirapolvere, non voglio farmi vedere mentre scriv 



(autunno 1992)

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