Dal suo romanzo d’esordio fino alle Lezioni
americane, pubblicate postume, la figura di Italo Calvino si caratterizza
per un atteggiamento costante di fondo: la Leggerezza. Che
non deve essere confusa con superficialità, quanto interpretata come
equilibrio, misura, ironia. Una leggerezza che corrisponde al piacere di
narrare, di immaginare, di evocare. Una
leggerezza che sembra non appartenere alla Letteratura italiana dei decenni che
vanno dal dopoguerra agli anni ’80. L’epiteto ‘anni di piombo’ può benissimo riassumere la pesantezza sociale,
politica ed anche letteraria, soprattutto dei decenni ’60 e ’70, per i quali potremmo parlare di un
ispessimento generale della Letteratura, di uno sperimentalismo molte volte
complicato e di difficile lettura, che sembra coinvolgere tutti gli scrittori,
compreso lo stesso Calvino.
Il quale parte però da un approccio diverso nei confronti del mezzo
letterario e delle sue possibili sperimentazioni: da quel piacere di narrare,
che lo porta ad indagare i meccanismi del racconto, a smontare ed esaminare la Letteratura come
farebbe un bambino curioso con un giocattolo, con un congegno affascinante e
complicato.
Tra gli anni ‘60 e ‘70 Calvino inventa così le sue macchine
narrative, i suoi dispositivi che moltiplicano all’infinito le narrazioni: Le Cosmicomiche, Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili e Se una
notte d’inverno un viaggiatore.
Quest’ultimo è il romanzo o metaromanzo dove Calvino più esplicitamente
si interroga sulla Letteratura, studiandone le Leggi fondamentali di
funzionamento.
Interrogarsi sulla Letteratura presuppone una messa in discussione della
stessa, del suo ruolo, così come della figura e della funzione dello scrittore.
Interrogativi che sentono e si pongono, più o meno esplicitamente, tutti gli
scrittori dei decenni ‘60 e ‘70, dinanzi all’esplosione improvvisa della
Cultura di massa, quando, ad esempio, l’istantaneità e la fruibilità di linguaggi,
come quello del cinema o della tv, mettono da parte l’impegnativa profondità di
un libro, o quando l’omogeneità e semplicità dei messaggi sono preferite alla
problematicità, cosi come ad esempio quando il prodotto, finito e serializzato,
che sia narrativo (il best-seller) o cinematografico, mettono in ombra il
pensiero e la singolarità dell’autore.
Non si può studiare, a nostro avviso, la letteratura contemporanea, senza
un approccio critico di tipo sociologico.
Calvino, dinanzi a questa nascente Cultura, non esprime un rifiuto netto,
snobistico o polemico, come molti dei suoi colleghi. La ‘misura’ rimane il suo
tratto distintivo, l’equilibrio la sua peculiarità.
Calvino scriverà testi di canzoni (quelle che Manganelli esacerba duramente),
realizzerà sceneggiature per il Cinema, genere di consumo per eccellenza-
furiosamente stravolto da Pasolini o Carmelo Bene- e sarà infine attratto dal connubio letteratura-fumetto
(il progetto de Il motel dei destini
incrociati[1])
. Ma dietro le righe si possono cogliere i timori di Calvino per gli eccessi
tipici della società di massa, come il pericolo per una deriva tecnocratica e
plutocratica, espresso in Se una notte
d’inverno un viaggiatore, o gli
accenni all’inquinamento ed alla crescita senza criteri delle moderne
megalopoli (ne Le città invisibili).
Alla mercificazione ed omologazione socio-culturali Calvino oppone quello
che potremmo definire un suo ‘umanesimo’ di fondo, che consiste nella fiducia
nella ragione umana e nel ruolo conoscitivo della letteratura.
Ecco allora la sostanziale profonda vicinanza con Gadda, con cui Calvino
condivide una comune visione del mondo ed un ruolo comune dello scrittore.
Indagare la realtà, non lasciarsi sommergere dal mare dell’oggettività,
abbracciarla nella sua interezza, senza frammentarietà, contingenze storiche
ideologie e mode letterarie, aver fiducia nel ruolo euristico e comunicativo
della scrittura. Calvino a differenza di Gadda persegue questa conoscenza in
modo indiretto, simbolico, mitopoietico e non con quella ossessione
enciclopedica dello scrittore milanese e di molti romanzieri contemporanei.
Entrambi però rimangono due scrittori universali, nell’obiettivo di cogliere la
realtà nella sua integrità.
Calvino punta ad una conoscenza ‘letteraria’ del mondo, non filosofica,
non definitiva. Non punta a costruire un sistema teoretico generale. Le
ideologie sono ormai alle spalle.
Calvino, mantenendo un atteggiamento di misurato ironico distacco, ci
gira intorno alla realtà, rappresentandola metaforicamente attraverso immagini
e racconti che si moltiplicano all’infinito, perchè infinita ed inesauribile è
la realtà.
Nascono così, come abbiamo già detto, i suoi congegni narrativi, le Cosmicomiche, dove teorie ed ipotesi
scientifiche scatenano la delicata favolistica immaginazione dello scrittore, o
il Castello dei destini incrociati, dove
Calvino si cimenta in un rigorosissimo esercizio combinatorio.
Razionalismo e geometrismo sono una componente fondamentale di questo
scrittore. Un geometrismo, quello di Calvino, simmetrico e semplificatore ma
anche complicatissimo ed analitico (come nelle rigorose costruzioni di Castello dei destini incrociati e Se una notte d’inverno un viaggiatore).
Una struttura, uno schema, un intreccio, un tema o un motivo sono la base
su cui si sviluppano le città\descrizioni in le Città invisibili. Se non vi è questo sostrato razionale e
geometrico alla base, se non vi è una trama (nella doppia accezione letteraria
ed urbanistica), seppur insolita o complicata, non potranno allora esistere
città\descrizioni e si cade necessariamente nell’informe, nel caos, nella
proliferazione rizomatica, reale e narrativa.
Una situazione che Calvino denuncerà nelle sue Lezioni americane:
Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito
l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una
peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di
immediatezza...
La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni,
rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio nè fine. Il
mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco
d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura.
Le città per Calvino altro non sono che proiezioni dei rispettivi
fondatori, costruzioni sviluppate e dipanate su di un motivo, semplice o
complicato che sia. La città diventa metafora del racconto e della razionalità.
Scrivere equivale a costruire allora, scrivere è dare una forma, un
impianto alla caotica massa della realtà. Ricordiamo a questo proposito tutta la
lezione americana dedicata all’Esattezza
Esattezza e Molteplicità da un lato, Leggerezza e Rapidità dall’altro.
Ecco la fiducia riposta nel ruolo conoscitivo della letteratura
attraverso il piacere della lettura\scrittura, dell’affabulazione,
dell’intreccio e dell’immaginazione, ma senza la pretesa filosofica o
scientifica di possedere definitivamente la Verità. La Verità va inseguita
all’infinito attraverso una scrittura limpida, comprensibile. La verità non
verrà mai raggiunta completamente.
Descrivere vuol dire tentare delle approssimazioni che ci portano sempre
un pò più vicino a quello che vogliamo dire, e nello stesso tempo ci lasciano
sempre un pò insoddisfatti, per cui dobbiamo continuamente rimetterci ad
osservare e a cercare come esprimere meglio quel che abbiamo osservato
Così si esprime Calvino nelle pagine
di un Antologia per le scuole medie curata insieme a G. Salinari[2].
Nel capitolo finale di Se una notte
d’inverno un viaggiatore invece,
troviamo sette diversi lettori con sette diversi approcci alla
letteratura\realtà. Vengono così toccate tematiche come la soggettività
dell’interpretazione, la lettura come evento unico ed irripetibile, l’intertestualità
(ogni libro ne richiama altri, all’infinito), la presenza in un testo di
significati nascosti e plurimi, come gli svolgimenti prefigurati in un incipit
o il senso ultimo, nascosto dietro ogni finale. I dieci romanzi racchiusi in Se una notte... sono dieci diversi modi
di approcciarsi al mondo, di guardare alla realtà.
Anche per Calvino, come per Guglielmi e molti intellettuali dei decenni ‘60
e ’70, le ideologie sono ormai tramontate e con esse le visioni totalizzanti
della realtà. Calvino proclama allora un proprio relativismo conoscitivo che però non è una resa dello scrittore (come
in Guglielmi o Manganelli) dinanzi al polimorfismo della realtà, cui
corrisponde uno schizomorfismo della scrittura. Calvino, al contrario, sottolinea
l’importanza vitale di approcciarsi sempre con curiosità e passione alla realtà
e di applicarvi uno schema, una struttura, un impianto interpretativo. Il mondo
altrimenti ci sfuggirebbe di mano, come le metropoli contemporanee che crescono
irrazionalmente ed in modo a-geometrico o come tutto il <<mare dell’oggettività>>.
La fiducia nel ruolo conoscitivo della letteratura si accompagna sempre al
fascino per il racconto, per il romanzesco: conoscenza e racconto, indagine e
favola sono inseparabili per Calvino.
L’importanza della descrizione, l’importanza del ruolo conoscitivo della
letteratura si può riscontrare anche nell’ultima opera narrativa di Calvino, Palomar, dove il protagonista non a caso
prende il nome da un famoso Osservatorio astronomico americano.
Si respira, in questo libro, una certa stanchezza, un leggero senso
d’inquietudine, fin dalle primissime pagine, dove l’anziano signor Palomar (una
sorta di Marcovaldo invecchiato) viene rappresentato come un Don Chisciotte
della conoscenza, nell’improbabile obiettivo di voler descrivere… un’onda del
mare. Palomar è di fronte al mare, metafora della realtà informe, sfuggente,
immensa. Metafora dell’Inconoscibile. Le sue domande, le sue congetture non
troveranno risposta, e così sarà in tutti i brevi capitoli del libro, dove il
protagonista continua ad interrogarsi di fronte ad ogni più minimo e banale
aspetto dell’esistenza.
il mondo intorno a lui si muove in modo disarmonico ed egli spera sempre
di scoprirvi un disegno, una costante.
Il mondo pone una serie di <<perchè?>> cui il signor Palomar
tenta di dare una risposta, ai quali applica modelli, verifica teorie. Ma ogni
domanda ne rimanda ad un’altra, all’infinito.
Il fatto è che lui più che affermare una sua verità vorrebbe fare delle
domande
Dinanzi alla complessità del mondo, Palomar rimane mite e sereno, pur se
non riesce a trovare nessuna risposta. Niente nevrosi o <<angoscia
titillante>>. E nemmeno disprezzo o superiorità, per gli aspetti più
quotidiani e banali della vita.
Quest’opera può essere letta allora come una grande metafora della
letteratura e della conoscenza secondo Calvino.
In un libro dove si stemperano le
ricerche metaletterarie dell’autore e la pagina si spoglia di ogni costruzione
narrativa, per arrivare ad una sorta di ‘grado zero’ della letteratura,
l’osservatore Palomar rappresenta lo scrittore stesso (un ritratto dell’artista
da vecchio), mentre il suo continuo osservare e porsi delle domande (senza
risposta) altro non rappresentano che l’essenza stessa della letteratura.
Il continuo interrogarsi, la mancanza di risposte, non inquietano ma
affascinano l’uomo e lo scrittore. Questo è il valore sano, positivo e
lungimirante della letteratura secondo Italo Calvino.
Influenze di Calvino:
in linea generale in tutto il ritorno al romanzo degli anni ’80;
De Carlo;
Del Giudice;
Benni travestimento della lett.
forma fiabesca della letteratura, infanzia protagonista
Baricco il piacere di raccontare
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