A J. L. Borges
La morte di X aveva
sconvolto tutti ad Ameno. Adesso nella chiesa del piccolo paese lucano, amici,
parenti, conoscenti, gente comune, tanti erano venuti a rendere l’ultimo saluto
al giovane defunto. Se ne stavano tutti con i volti pallidi, confusi, come
presi terribilmente alla sprovvista.
Ed alla sprovvista
era stato colto il povero X, dalla morte.
Non era stata una
morte tragica o violenta la sua. E soprattutto non una morte ordinaria, della
quale si muoia ogni giorno. La sua era stata una morte strana, grottesca: la
gelida pellegrina,si sa, ha infiniti volti.
Aveva fatto visita
ad X nel momento più impensabile, a pranzo.
Il pranzo, infatti,
è un momento di ricarica vitale e psicologica, è attingimento di energia. E’
vita insomma. Durante questo momento sacro, questo rito biologico, si ha
assoluto bisogno di tranquillità. I seccatori non sono per niente ammessi.
Ma la Morte non ama
bussare. Ella è tiranna, barbara, sciacalla e, senza indugi, senza bussare,
spalancò la porta e piombò addosso al povero X, portandoselo via come fa un falco con un topo indifeso.
Se ne stava nascosta
in silenzio, la Morte, nel cibo, nel pane quotidiano, che per X doveva essere
fonte di vita.
Si era soffocato, in
poche parole, X, con un boccone di traverso.
<<Che morte
assurda>> pensava Tommaso, uno dei pochi amici di X, anche se ‘amici’ nel
vero senso della parola X non ne aveva affatto. I suoi erano più che altro
conoscenti stretti, compagni. Amico infatti vuol dire confidente, ed X non
aveva (non voleva) proprio nulla da confidare a nessuno. Nessun segreto,
nessuna gioia, nessuna speranza. Se ne stava sempre taciturno, inerte,
svogliato.
<<Tutto così
terribilmente piatto, banale, in quel ragazzo, dalla nascita... fino alla
stessa morte>> era il freddo giudizio di Matteo, dall’alto della sua
posizione di studente di Ingegneria. Se lo teneva per sè, però, quel giudizio.
Non avrebbe osato riferirlo al suo amico C., fratello maggiore di X.
Si, tutti adesso, in
quella chiesa dalle pareti stuccate (dove faceva un freddo cane) tutti
pensavano che quella fosse stata una morte stupida. Ma proprio in quella
banalità consisteva tutta la grottesca tragicità che riempiva l’atmosfera della
chiesa.
Tutto il paese era
presente. Moltissimi non conoscevano X se non di faccia, o non lo conoscevano
proprio, sapevano che era figlio del tale o del tal’altro. Ma il rispetto per
la famiglia del ragazzo, o forse solo per la situazione, la tradizione,
l’educazione imponevano a tutti una certa gravità.
C’erano anche molte
ragazze del paese, sia quelle pie e devote, che quelle più ‘eretiche’. Le giovani
fedeli occupavano i primi banchi e pregavano e cantavano, mostrando un’aria di
familiarità e di esperienza, verso quegli uffici, mista a dolore. La loro
espressione era stranamente identica per tutte, ed aveva molta affinità anche
con quella delle suore, sedute dietro di loro.
Molte ragazze
piangevano però. Erano le uniche a farlo, insieme alla famiglia di X. Poverine!
Che pena faceva vederle piangere, soffrire, affliggersi, per quel tragico
avvenimento. Già, proprio così, per quel tragico avvenimento e non per quello
sfortunato ragazzo.
A colpirle
violentemente, infatti, era stata la morte in sè, non quella di X.
L’avevano sempre
sentita come un qualcosa di estraneo e lontano, la morte. Qualcosa di
appartenente alla vecchiaia, alla malattia, o qualcosa di relegato nella
Televisione, che ne filtrava le realistiche impurità.
Questa volta però,
la morte si era presentata loro nella sua interezza ed aveva improvvisamente
mostrato il suo vero volto. Scaraventandole in un mondo nuovo.
La morte di un
amico, di un coetaneo, le aveva sbalzate fuori dai loro sogni ovattati. Aveva
aperto loro le porte sulla vita, la vera vita, in tutta la sua cruda realtà.
Sembravano
naufraghe, forestiere, in quella nuova dimensione.
E avrebbero pianto
molto di più se ci fosse stato un organo in quella chiesa, un vero organo, e
non uno scassato harmonium sfiatante...
Mirko, appoggiato
alle travi che servivano da puntello per la pericolante chiesa, sembrava il più
contristato di tutti.
Aveva fama di
passare per il delinquente del paese. Ma non era certo l’impressione che dava,
a vederlo così, raccolto, turbato, angosciato. Stava pensando a quando, anni
fa, una sera, ubriaco, aveva picchiato X nel bar, per motivi che ora gli
sembravano futili. Gli era piombato dietro a sorpresa sbattendogli la testa sul
videogame. X era rimasto paralizzato, sorpreso, prendendosi una serie di
schiaffi e non capendo perchè. Non riusciva a reagire. Poi era intervenuto il
barista ed altra gente adulta.
Adesso però si stava
prendendo la sua vendetta. Il suo ricordo continuava a sbattere, ora, la testa
di Mirko contro il muro del rimorso.
C’era anche la II
liceo classico di Potenza, i compagni di classe di X. Erano quasi tutti della
città: Gianluigi, Walter, Stella, Fabrizio, Noemi.
Si erano sistemati
con i prof in fondo alla navata, tra la gente del paese e dei sacchi di cemento
impolverati (la chiesa era in restauro).
<<Povero
Paci>> piangeva la professoressa di Latino, un’attempata ed elegante
signora, che preservava ancora la sua bellezza. Non riusciva ancora a
ricordarne il nome.
La professoressa di
Italiano, invece, si era seduta avanti, accanto al padre di X. Continuava a
parlare-sottovoce- da circa 20 minuti. Parlava di X al padre, impiegato
statale, come se questi non conoscesse
affatto il proprio figlio.
<<Era un
ragazzo chiuso, che non affrontava mai il dialogo, la discussione, rifugiandosi
nella sua timidezza. Certo posso capire la differenza di partenza rispetto ai
suoi compagni, l’essere l’unico ragazzo di paese in mezzo a tanti cittadini. Ma
bisogna pure sapersi adeguare, non le pare?>>
<<Certo>>
era l’unica risposta del signor Paci, assente ed in lacrime.
<<In genere i
ragazzi così chiusi ed introversi nascondono una straordinaria personalità, dei
talenti. Ed allora ho tentato di farla emergere, di cercarla nei temi in
classe. Ma mi hanno risposto negativamente. Elaborati esili, superficiali,
banali, corretti nella forma, ma assolutamente scialbi nel contenuto. Ho
cercato allora di dare tracce sempre più personali, coinvolgenti, ma il
risultato era sempre lo stesso: ‘elettroencefalogramma piatto’>>.
<<Insieme alle colleghe allora, abbiamo tratto la conclusione che suo
figlio era troppo pigro e sterile. Ma, mi dica, non aveva proprio nessuna
passione questo benedetto ragazzo?>>
<<E che ne so
io -rispose il padre di X- so solo che se ne stava sempre rinchiuso a leggere,
a studiare e a scrivere...>>.
<<A studiare?
A scrivere??>> domandò allibita la prof.
Il rispetto per il
dolore del padre e per la situazione però, la trattennero da ulteriori domande.
Restò in silenzio
per tutta la durata della cerimonia, riflettendo su quelle parole.
La sera, finalmente,
quando tutto si era concluso, lei andò a casa di X, per dare un ultimo conforto
ai genitori. Erano tutti nel salone, amici e parenti, in un profondo silenzio.
Ogni parola, ogni ricordo del ragazzo era come bloccato da un misterioso senso
di assurdità. Si cercava di esorcizzare il dolore, o meglio lo stupore, cercando
di parlare di altro. La prof che non tollerava i discorsi banali che si stavano
facendo e, spinta dalla curiosità di prima, che non le era affatto passata, non
seppe trattenersi più e proruppe:
<<Sarebbe così
gentile da mostrarmi la camera di suo figlio?>> rivolta al padre di X.
L’impiegato guardò
smarrito e perplesso gli occhi della moglie, ne ricevette un cenno affermativo.
L’uomo allora la
accompagnò, salendo una scala che portava alle camere dei suoi figli.
Entrarono nella
stanzetta di X.
Un letto, una
scrivania e sopra una finestra alta e stretta. Niente di più. Nemmeno un
poster. <<Come volevasi dimostrare>> pensò la prof. Una libreria
con i libri di scuola, dizionari ma anche altri libri di lettura, non
scolastici. <<Però>>. Ne percorse i titoli con lo sguardo,
interessata.
In basso c’erano
degli scatoloni, che la prof volle aprire, chiedendo con lo sguardo il permesso
al padre.
Lì dentro i libri
erano molto di più. Edizioni varie, opere complete, saggi filosofici, romanzi,
poesie, libri d’arte. Un’ottima libreria personale. Parecchi di questi libri
poi avevano annotazioni all’interno o a margine. La prof le lesse
concentratissima. Non credeva ai suoi occhi.
Guardò allora per un
attimo il grande cassetto della scrivania, che non era chiuso perfettamente. Le
venne improvvisamente voglia di guardarci dentro, sempre dopo aver tacitamente
richiesto il permesso al signor Paci, che la guardava senza capire.
Lo aprì. Il cassetto
era colmo di fogli, quaderni, agende, sparsi disordinatamente.
Prese il primo
foglio che le capitò e cominciò a leggerlo. Lo posò in fretta. Ne prese subito
degli altri. Li leggeva con sempre maggiore attenzione e rapidità, chinandovisi
sopra. Si sedette ed aprì un’agenda e poi un’altra ancora. Sfogliò tutti i
quaderni.
Ed a un certo punto
svuotò sulla scrivania il contenuto dell’intero cassetto:
poesie, versi
sparsi, pensieri, appunti, racconti, dialoghi, un abbozzo di romanzo, progetti
teatrali, una commedia incompiuta...
Questo racconto,
intitolato “Sorpresa”, lo trovai –strano destino- proprio nel cassetto del mio
amico Y, morto in un bruttissimo incidente automobilistico. <<Posso farti
leggere qualcosa?>> mi diceva sempre, ma era timido non mi aveva mai dato
nulla. E’ l’unico completo tra tutte le sue bozze.
Penso che lo farò
pubblicare, glielo devo e ne sarà contento, sicuramente.
Finito questo
racconto, dopo qualche giorno Z chiese
al suo collega universitario Pietro:
<<Allora, lo
hai letto?>
Era la prima cosa che
faceva leggere a qualcuno. Era ansioso. Secondo lui Pietro avrebbe avuto da
ridire sul finale, ma proprio ciò lo incuriosiva.
<<Ah si...>>
rispose Pietro, pensando ad altro.
<<Come ti
sembra?>>
<<Mah...è
molto triste, lugubre. Mi sono grattato... tutto questo parlare della
morte>>.
La morte. Si fece
conoscere una mattina, a scuola, quando avevo marinato. Il giorno dopo mi
presentai con la mia giustifica falsificata ma non c’era assolutamente nessuno.
Deserto. Era tutto irreale. Le porte erano aperte però, anche la Presidenza. Il
preside mi accolse mesto:<<figliuolo oggi non c’è scuola, non hai saputo
quello che è successo?>> Vicino all’ingresso vidi tre manifesti funerari.
Riflettei a lungo in
quei giorni sulla morte.
Ma ora scusatemi,
sta passando mia madre con l’aspirapolvere, non voglio farmi vedere mentre
scriv
(autunno 1992)
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