Nel suo penultimo
romanzo Ammaniti, utilizzando una gigantesca, rutilante metafora (in cui si
mescolano, ancor più che nei lavori precedenti, cinema, tv, cartoni, riviste,
internet e centri commerciali), ha voluto far esplodere il trionfo- forzato
oltre i limiti del trash o di quello che è stato chiamato pulp- di una società
arrivata ormai al culmine della crisi. Forse. Perchè, come ammonisce uno dei
tanti personaggi del libro: <<Il tempo delle figure di merda è finito,
morto, sepolto. Se n’è andato per sempre con il vecchio millennio. Quelle che
tu chiami figure di merda sono sprazzi di splendore mediatico che danno lustro
al personaggio e che ti rendono più umano e simpatico>>.
Chi vuol consolarsi si
consoli.
La narrazione di Che la festa cominci segue il tipico
ritmo incalzante di Ammaniti, il quale recupera quel registro comico e ‘fumettaro’ delle origini, un’ atmosfera che via via però diventa sempre più tragica,
disgustosa, macabra.
Al centro di questo
nuovo romanzo c’è una memorabile festa, che dovrà stupire proprio tutti (e
vengono in mente analoghi parties, nella realtà, iperlussuosi, con tanto di
esplosioni di vulcani artificiali) dove verrà radunata tutta la società
italiana che conta: personaggi televisivi, chirurghi estetici, cantanti,
soubrette, uomini d’affari. Nomi e
cognomi sono rigorosamente inventati.
Durante questo evento
mondano si intrecceranno i destini dei tre protagonisti del romanzo: Saverio
Moneta detto Mantos (leader della sparuta setta satanica Le Belve di Abbadon),
lo scrittore Fabrizio Ciba e l’imprenditore venuto dal nulla Sasà Chiatti.
Anche se quest’ultimo vorrà ostentare a tutti i costi il suo essersi
realizzato, alla fine non sarà da meno degli altri due. Un fallito cioè. Un
personaggio che, in realtà, ricorre in tutte le opere di Ammaniti, dal giovane
Marco Donati protagonista del primo romanzo Branchie
(un disperato, il quale sa che gli rimangono pochi mesi di vita a causa di un
tumore), fino ad arrivare a Rino Zena (Come Dio comanda), muratore precario,
separato ed alcolizzato.
Sullo sfondo, anche se
qui appena accennata, rimane ancora la periferia come luogo oramai fisso delle
narrazioni di Ammaniti. Oriolo Romano (dove in una pizzeria si riuniscono le
Belve di Abbadon ) rimanda al
Comprensorio delle Isole, ad Ischiano Scalo, a Varrano.
La periferia diventa il
luogo di una condizione di vita marginale, degradata.
E se gli altri romanzi
di Ammaniti, per concludere, avevano un finale amaro, qui, nonostante tutto,
sembra esserci una via di fuga. La risposta a questa società ormai alla deriva
non arriverà dalla Letteratura, o meglio da quello che è diventata oggi anche
la Letteratura, visto che lo scrittore Fabrizio Ciba (<<il terzo uomo più
sexy d’Italia secondo il settimanale femminile Yes>>) dimostrerà di
essere molto più cinico di tante vallette qualunque o rampanti imprenditori.
La risposta arriverà,
in chiusura, dall’amore (assente nelle opere
precedenti), quello vero e semplice, che suggellerà un insolito lieto
fine, al di sopra di tutto questo spaventoso panorama.
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