Scrive Carlo Levi che, per il disincantato contadino lucano, esiste solo <<l’oggi>>, mentre il
domani non è nient’altro che un vago ed immobile <<crai>>.
Crai è domani, e sempre; ma il giorno dopo domani è pescrai e
il giorno dopo ancora è pescrille; poi viene pescruflo, e poi maruflo e
maruflone; ed il settimo giorno è maruflicchio. Ma questa esattezza di termini
ha più che altro un valore di ironia. Queste parole non si usano tanto per
indicare questo o quel giorno, ma piuttosto tutte insieme come un elenco, e il
loro stesso suono è grottesco: sono come una riprova della inutilità di voler
distinguere nelle eterne nebbie del crai. (Cristo
si è fermato ad Eboli)
La durezza dell’oggi, cui segue sempre un domani vuoto di
promesse, sono anche il senso di questa poesia di Giulio Stolfi,
significativamente intitolata Domani:
Ora il gelo nasconde ai miei passi
Il solco crudo dei carri
E qualche stella s’impietra
Lungo le prode. Domani
La strada offrirà
Il pallido volto di mota
Agli occhi arrossati. Domani
Si leveranno parole
Delle bocche di rame
Agli alberi magri,
ai gatti randagi,
agli usci serrati.